SPERONE DELLA BRENVA “one shot” di DENIS TRENTO

Pubblicato il 26/05/2020

Il periodo che abbiamo appena vissuto (o meglio non vissuto) sarà probabilmente ricordato nei libri di storia al pari delle Grandi Guerre. Il che potrebbe anche stridere un pò, paragonando le immagini in bianco e nero delle città Europee rase al suolo a quelle delle video conferenze sdraiati sul divano di casa.

Al di là di tutto, è innegabile che questo virus oltre ai gravissimi danni sanitari, abbia lasciato un segno ancora più profondo nell’economia e nelle coscienze delle persone.

Personalmente ho avuto la fortuna di poter trascorrere una clausura molto serena, spendendo molto tempo a giocare in giardino con i miei figli. Proprio da quel giardino ho avuto modo di seguire da lontano l’evolversi delle condizioni sul Bianco.

C’è anche da precisare che l’80% del mio alpinismo nasce da quello che posso vedere affacciandomi al balcone di casa, o dalla cima delle mie 2/3 gite abituali di allenamento. L’altro 20 è frutto del confronto con amici, o del tristissimo sciacallaggio di idee altrui.

Tra quello che il mio backyard ha da offrire, lo Sperone della Brenva è la prima linea che il mio sguardo cattura dalla finestra ogni mattina, mentre aspetto che venga su il caffè.

La discesa in sé ha molti “difetti”: non parte dalla cima di una montagna, né arriva direttamente a valle e non è nemmeno particolarmente ripida o difficile.

Le condizioni tardive e la logistica complicata hanno facilmente respinto i pochi tentativi velleitari che negli anni avevo provato a buttare lì, senza una reale convinzione.

Però la linea in sé è la quintessenza dell’estetica: uno sperone sospeso nel vuoto che si materializza magicamente nel mezzo del caos dei seracchi della zona più selvaggia dell’intero massiccio de Monte Bianco.

Per 50 giorni ho scrutato con tutti i tipi di luce ogni piccolo mutamento della neve che faticosamente tentava di attaccarsi al ghiaccio blu ancora presente nella parte alta. Per 50 giorni ho maturato il desiderio irrefrenabile, proprio perché momentaneamente impossibile di sciare nel cuore del Bianco.

Ma 50 giorni, per lunghi che possono sembrare, passano molto velocemente e improvvisamente ecco che la parte impossibile del sogno che avevo coltivato, viene cancellata da un pezzo di carta bollata firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Fino a quel fatidico lunedì, avevo posticipato ogni pensiero sul domani, impegnandomi a vivere il meglio possibile quell’oggi così paradossale e dando superficialmente per scontato che quando quel domani sarebbe arrivato, la mia motivazione avrebbe ripreso il sopravvento e tutto sarebbe tornato normale. Sempre che si possa considerare “normale” partire di casa alle due di notte per trascinarsi in cima ad una montagna con gli sci.

E fu così che quando Conte decretò il ritorno ad una pseudo realtà mascherinata, di botto ho realizzato che niente dentro di me era più come prima. Non riuscivo a trovare un singolo motivo per uscire dalla casa nelle quale mi avevano rinchiuso, per tornare in quei luoghi che prima mi facevano sentire “a casa”.

Eppure, nonostante tutto quel pandemonio, le montagne non si erano mosse di un millimetro. Tutto era ancora esattamente al suo posto. La questione era quindi piuttosto semplice: rimanere in lockdown celebrale, facendosi tirare verso il fondo della buca di tristezza nella quale i media ci hanno convinto che il mondo intero fosse sprofondato, oppure risalire faticosamente in cima ad una montagna per vedere la vera realtà da dove il cielo incontra la neve?

La risposta, per quanto fosse scontata, non è stata semplice da attuare. La poca convinzione ha reso il mio zaino più pesante di quanto la scarsissima forma lo facesse già sembrare. Anche se ogni salita risultava più lunga del normale, piano piano la cima era sempre più vicina, e lo Sperone era talmente bianco ed invitante tanto dal far sembrare assurdo che fosse ancora li ad aspettare chi mi dessi una mossa.

In altri tempi non avrebbe certamente atteso tanto.

Anche se tardivamente, il giorno in cui suona la sveglia alle 1 è in qualche modo arrivato. Sapevo già che però non era ancora quello giusto, ma mi illudevo che bevendo un caffè e saltando in macchina me lo sarei dimenticato.

E invece al momento di mettermi lo zaino in spalla, la notte era troppo buia, la salita troppo lunga, la forma troppo poca, le condizioni troppo dubbie e il ritorno ad un letto caldo troppo invitante per essere ignorato.

La sfida era indubbiamente al di là delle mie possibilità attuali per essere affrontata da solo. Avevo bisogno di una persona che si caricasse sulle spalle una parte delle mie insicurezze.

E proprio la logistica lavorativa dovuta al covid, ha fatto sì che una delle due persone al mondo che avrei voluto vicino in una lunga e buia notte di sci in montagna con fosse in zona. E non a caso queste due persone sono Manfred e Robert, due tra i più forti sci alpinisti della storia.

 

Con Manfred Reichegger della partita, non avevo davvero più scuse.

Il traumatico momento di mettersi lo zaino in spalla è stato completamente dimenticato, anche perché Manni come al solito era già pronto, o meglio, si era già avviato. E se non lo avessi raggiunto subito, mi sarei nuovamente ritrovato a fare una gita solitaria.

Come avevo fortemente sperato, con un socio così forte la questione, che prima era una più che altro una battaglia mentale si è riportata sul piano fisico-tecnico, dove anche senza forma, posso comunque contare su automatismi e esperienza maturati in decine di anni di pratica.

Archiviati velocemente i drammi della psiche, tutto si è svolto come doveva andare. Siamo partiti alle 2 di mattina da La Palud, in un’ora abbiamo raggiunto il Pavillon, dove abbiamo messo gli sci ai piedi. Alle 4 e mezza uscivamo dal Canale del Tedesco, per raggiungere in poco meno di un’ora il colletto in cima al pendio che porta dalla Combe Maudite alla Kuffner.

Alle 6 e qualche minuto avevamo già oltrepassato la terminale della Gussfeld. Un’altra mezz’oretta ci è voluta per mettere piede sulla dorsale dello Sperone.

A quel punto ci siamo imposti di calare fortemente il ritmo, per provare inutilmente a dare un pò di tempo supplementare al sole per scaldare la neve dura dell’ultima sezione.

Anche provando a rallentare, volenti o nolenti alle 7 e venti eravamo in cima allo sperone.


 

Una volta realizzato che per sciare su neve morbida ci sarebbe voluto ancora troppo tempo, abbiamo optato per iniziare comunque la discesa. Le condizioni non si sono dimostrate cosi male, almeno per me che potevo contare su un Movement Alp Track da 85 sotto al piede. Meno felice era il mio compagno Alto Atesino, che non se l’era sentita di rinunciare all’assetto filo garista che lo accompagna da tutta la vita.

 

Una volta lasciato lo sperone, ci aspettava con ansia la bella neve pressata morbida ancora presente nel ripido scivolo della Gussfeld e un ottimo primaverile nel pendio che riporta all’interno della Combe.

Fedeli alla regola che non c’è due senza tre, ci dirigiamo ancora fiduciosi verso la spalla dell’Aiguille d’Êntreves, per chiudere al meglio questa incredibile uscita e forse anche per porre degnamente fine a questa monca stagione sciistica, ma questo forse è presto per dirlo…

Durante la notte però non ci eravamo accorti che l’intero versante era stato spazzato via da una valanga colossale, risalente forse già all’inizio della settimana. Quello che rimaneva era comunque l’opzione migliore da sciare per riportarci a valle e in realtà non si è rivelata nemmeno troppo male.

Al Pavillon siamo stati sfiorati per un attimo dalla nostalgia verso la giostra della Skyway, ma è stato solo un piccolo momento di debolezza. Dopo otto ore in giro, non è certo una mezz’oretta in più di cammino ad essere di troppo.

 

Il rientro a valle come al solito non sfugge alla regola di essere anche il momento del ritorno ai problemi reali. Il covid è ancora li, come il disastro socio-economico che ha generato. Come sempre andare in montagna è stato faticoso, inutile e pericoloso. Ma come d’abitudine è servito a farci vedere la realtà dal giusto punto di vista, senza che questa venga prima filtrata da altri e riproposta dallo schermo di un telefonino.

Ora la mia quarantena è proprio finita, chissà se lo è davvero anche la stagione dello sci in montagna..

 

Dati tecnici:

Dislivello 3412 m

Sviluppo 23.85 km

Tempo di percorrenza 8h 30’

 

Materiale utilizzato Grivel:

Ramponi: Ski Tour

Picozza: Ghost + Condor

Imbrago: Mistral

Varie: 3  Plume nut k3n; 3  Plume k2w, 1 master pro, 2 alpine rings

Zaino Grivel Marmolada 28L

Altro:

Sci: movement Alp Track 85

Attacco: Atk Trofeo

Scarpone: Scarpa Alien RS

Pelli: Pomoc

 

 

Denis Trento nato nel 1982 ad Aosta.
Fa parte del Team Grivel dal 2009.
Guida alpina appassionata di sci in montagna, con un passato recente nello sci alpinismo agonistico di alto livello.
Prodotti preferiti: Mistral harnessice axe Ghostski tourScream kit.