ARRAMPICARE A FLATANGER di Marcello Bombardi

Pubblicato il 5/10/20

La mia estate da atleta professionista si è sempre svolta abitualmente in giro per l’Italia, l’Europa o il mondo a tirare prese per allenamenti e gare, vestendo orgogliosamente i colori della nazionale o del Centro Sportivo Esercito. Ma questa non è stata un’estate normale per il mondo intero e men che meno per l’attività sportiva agonistica. Man mano che l’emergenza sanitaria peggiorava in tutti gli stati abbiamo iniziato a vedere sul calendario della federazione internazionale una gara dopo l’altra cadere con la dicitura “postponed” o “cancelled”. Persi della motivazione degli appuntamenti agonistici ma allo stesso tempo liberi del nostro dovere abbiamo cercato altri obiettivi per questa nuova estate.
In passato sono già stato più volte in Norvegia e mi ha sempre affascinato con la sua società responsabile e rispettevole delle regole, la sua natura così incontaminata dalla presenza dell’uomo e il senso di libertà che infondono i fiordi e i vasti boschi. Non ero però ancora stato così a nord e soprattutto nella famosa famosa grotta di Hanshelleren, Flatanger. Appena Stefano Carnati e Luca Bana mi hanno proposto il viaggio ho subito accettato.

Lunedì 3 agosto attero al piccolo aeroporto di Trondheim e dopo altre quattro ore di viaggio verso nord raggiungo i miei due compagni che mi avevano preceduto di qualche giorno. Stefano e Luca avevano già iniziato a scaldare i motori e, soprattutto, a montare i rinvii sulle vie che volevamo provare, un lavoro non da poco vista l’inclinazione della parete e il fatto che facilmente devi portare sui 20/25 rinvii per via. Arrivo alle 11 di sera nella nostra hytte, la piccola casetta con i muri rossi in legno tipica della campagna norvegese che ci avrebbe ospitato per le due settimane di vacanza, e già non vedevo l’ora che passasse la notte per poter mettere le mani sulla roccia della mitica grotta.

Il risveglio però non è stato dei migliori. Era nebbioso e pioveva abbastanza. Anche il mio primo avvicinamento verso la falesia è parso più un gioco a riuscire a stare in piedi e saltare da un sasso all’altro per non sprofondare nel fango del sentiero ma appena arrivati alla base delle vie ogni preoccupazione è scomparsa e mi sono innamorato a prima vista. Le vie classiche e più dure sono tutte generalmente lunghe e situate nella parte interna della grotta. A meno di infiltrazioni, comunque abbastanza frequenti, rimangono protette dalla pioggia. La roccia è uno gneis granitico sopraffino, crea delle formazioni e delle prese incredibili e i grani fini e levigati da acqua e vento ti premettono di scalare quanto vuoi senza aver male alla pelle, godendoti ogni movimento di puro piacere. La peculiarità della falesia è l’uso delle ginocchiere, a me così inusuali che mi mettevano a disagio le prime volte. Ti sembra di indossare un’armatura da guerra ogni volta che ti prepari per una via e allo stesso tempo ti salvano la vita (e le braccia) sui numerosi incastri di ginocchio che di sicuro incontrerai. Ogni via è cinque stelle e potrebbe benissimo essere la migliore via della maggior parte delle falesie dove sono solito scalare. Scegliere quale provare per prima non è mai semplice. Io, nel dubbio, ne provavo più che potevo già dal riscaldamento.

Il primo giorno mi sono subito buttato su “The illusionist” insieme a Stefano, un 9a molto corto, composto da una prima sezione intensa di una ventina di movimenti veramente estetici. Non è il tiro più conosciuto e attraente tra le lunghe vie ormai classiche di Flatanger ma l’avevo presa di mira già da casa come tiro “di avvicinamento” per non partire subito a lavorare quei viaggi intergalattici delle altre vie. La parte dura finiva a pochi metri da terra ma un boulder finale per niente banale non ti permetteva di rilassarti fino alla fine. Da subito mi sono trovato bene sulla via e sono riuscito a risolverla al primo giro del terzo giorno ma nel frattempo avevo aperto il cantiere su altri due bei progetti: “Odin’s eye” 8c+, che prende il nome da una conformazione incredibile della roccia larga diversi metri, più scura ed assomigliante ad un occhio; e “Thor’s hammer” 9a/+, senza prese a forma di martello ma la cui linea che sale su dritta per la volta della grotta ti colpisce come uno dei fulmini lanciati dai personaggi della divinità norvegese.

Una volta preso il via della vacanza le giornate di scalata passavano in fretta con la sveglia dettata dalla luce del sole, colazione light, avvicinamento alla falesia e i tentativi sulle vie ciascuno sul proprio progetto. Finite le energie si ridiscendeva alla hytte discutendo già di quante cose avessimo fatto da mangiare per cena per recuperare le energie perse sulle maratone strapiombanti. La regione comunque non presenta molte attrattive turistiche oltre ai meravigliosi paesaggi e a qualche incontro fugace, se sei fortunato, con qualche alce e quindi la velocità delle giornate di scalata veniva bilanciata dalla rilassatezza e tranquillità, comunque molto apprezzata, dei giorni di riposo. Non avendo una macchina propria dovevamo fare affidamento ai passaggi per andare a fare la spesa o per muoverci un po’ al di fuori del campeggio. Ogni giorno di riposo facevamo un tentativo di pesca, attività molto semplice in quella regione da quanto detto dagli amici italiani che già c’erano stati. “Basta che butti il filo con l’amo e i pesci abboccano” dicevano… ma forse ci sfuggiva qualcosa nella tecnica. Il bilancio di pesca di fine vacanza ha segnato un solo granchio pescato… Dopo qualche ora ad aspettare invano i pesci decidevamo allora che era meglio andare a scongelare quello surgelato comprato all’alimentari e tornare a pensare alla scalata, attività che ci veniva decisamente meglio.
Accanto ai progetti da più giorni di lavoro, per non farmi mancare nulla, mi sono dedicato anche a qualche tentativo “veloce”. Veloce relativamente al numero di tentativi ma non assolutamente al tempo di scalata... Riesco a salire due 8c flash, ovvero al primo tentativo. “Muy verde” e “Nordic plumber”. Il primo era abbastanza corto, intenso e relativamente indolore. Il secondo tutto il contrario. Di fatica e dolore, in mente e corpo, ne ha portato parecchio. Non sono mai stato un fan delle vie molto lunghe ma in questa vacanza mi è scattato qualcosa, complice anche la bellezza delle linee, e un giorno decisi di voler confrontarmi in una battaglia all’ultimo respiro. Nordic Plumber è lunga sui 45/50 metri ed è un susseguirsi di tanti boulder separati da riposi, molto buoni in genere se non addirittura completi dove incastri una o più ginocchia. Il detto “se vinci una battaglia non hai vinto la guerra” potrebbe adattarsi perfettamente a questa via perché nonostante la primissima sezione iniziale che è la più dura presa singolarmente, la riuscita o il fallimento si decide tutto negli ultimi metri, sul fatidico rail finale in cui se ci arrivi troppo ghisato o sbagli la sequenza delle mani cadi e… riparti dal via.

Al momento del tentativo flash ero consapevole e pronto ad un lungo viaggio ma non immaginavo quanto. Già a un terzo della lunghezza avevo i muscoli stremati. Non tanto per la ghisa agli avambracci, a quella sono abbastanza abituato, ma tanto più ad uno stato di stanchezza fisica generale di tutto il corpo che non avevo mai provato durante una scalata, dalle spalle, agli addominali, ai polpacci, ai piedi. Non cedere e continuare a scalare fino in cima è stata una vera lotta mentale. Dopo 45 minuti da quando ho lasciato il terreno, con addirittura dei nodi alla corda da sbrogliare (fortunatamente in un punto di buon riposo) riesco ad arrivare alle ultime prese e passare la corda in catena mentre la mia testa si spegne definitivamente dall’esaurimento di energie.
Passati un paio di giorni per recuperare le energie ritorno sui veri progetti. Arrivo agli ultimi due giorni della vacanza con ancora i conti da chiudere su entrambe le vie di Odin’s eye e Thor’s hammer. Temevo di dover tornare a casa lasciandone almeno una in sospeso. Gasato dalle realizzazioni di Stefano e Luca che chiudono i loro progetti, spremo tutte le energie su quello che potrebbe essere il mio miglior giorno realizzativo in falesia. Con due colpi precisi e decisi supero la parte dura di entrambe le vie e, attento e agitato allo stesso tempo per non commettere errori, riesco a tenere duro e arrivare fino in catena.

Come si dice spesso, sarebbe stato un bellissimo “last day, best day” per il nostro gruppo, peccato che era il nostro penultimo giorno… Per il vero last day siamo stati impegnati a smontare con fatica tutti i rinvii lasciati sulle vie e a terminare completamente le energie provando per curiosità qualche via come possibile progetto per un altro eventuale viaggio futuro. Viaggio in cui saremo ancora più carichi e preparati (anche sulle tecniche di pesca).

Il materiale GRIVEL che ho usato per questo progetto:

_Trend Harness

_Trend Chalk Bag

_All-Round Alpha

_Rocker 45

_Master Pro

Marcello Bombardi, nato a Correggio nel 1993 e attualmente residente a Pont-Saint-Martin (Valle d'Aosta), lavora con il team Grivel da un anno. Atleta professionista nella Nazionale Italiana, gareggia in velocità, boulder e specialità di piombo (1 ° posto nella Coppa del Mondo Lead 2017, Chamonix) e pratica anche arrampicata sportiva e bouldering all'aperto. Prodotti Grivel preferiti: zaino Rocker 45imbrago Trend abstract, rinvii Alpine Plume.