Superleggeri Grivel: i ramponi che spinsero l'alpinismo oltre gli 8000m - di Gian Luca Gasca

Pubblicato il 06.05.2022

“Con i ramponi hanno scalato il pendio, senza tagliare gradini – per quanto desiderabili potessero sembrare – perché volevano risparmiare energie”. Così l’Alpine Journal sull’exploit dei fratelli Schmid sulla Nord del Cervino. 

Era il 31 luglio del 1931 e stavano scrivendo un pezzo di storia dell’alpinismo, sulla parete più ambita del momento. Succedeva dopo un avventuroso viaggio in bicicletta fino a Zermatt e dopo un paio di lunghe giornate a osservare l’estetica parete nord del Matterhorn, come lo chiamano sul versante svizzero. 

Trovata la via sono partiti lasciando in una tendina ai piedi della montagna un biglietto con nomi e destinazione; le incognite erano tantissime. Con sé hanno portato un paio di corde da 40 metri, 15 chiodi, moschettoni, sacchi da bivacco, qualcosa per rifocillarsi, picche e, ovviamente, due paia di ramponi. Attrezzi nati nel 1909 ai piedi del Monte Bianco e rapidamente diffusisi su larga scala nel mondo alpinistico. I primi pesavano quasi un chilo e mezzo, ma l’intuizione fu geniale. Grazie a queste punte metalliche fissate sotto agli scarponi non era più necessario il faticoso e lungo lavoro di intaglio dei gradini nel ghiaccio. La progressione poteva andare spedita, anche se trascinarsi ai piedi degli attrezzi così pesanti era comunque un bel lavoro.

Diciamo che andavano bene per tutti, al tempo, ma non tanto per chi si muoveva alla ricerca della prestazione come gli Alpini della scuola militare alpina di Aosta, che nei primi anni Trenta bussarono alle porte di Grivel con una richiesta ben precisa: un rampone leggero, resistente e pratico, da utilizzare per poter affrontate il neonato trofeo Mezzalama.
Una bella sfida per i fabbri, ormai celebri nel mondo delle attrezzature d’alpinismo, che accettarono con entusiasmo la proposta e si misero a studiare. Bisognava trovare un modo per diminuire lo spessore delle lamine metalliche senza perdere resistenza. 
Così Laurent, figlio minore di Henry Grivel, si rivolse alle acciaierie Cogne di Aosta che gli proposero una nuova lega superleggera e resistente, nichel-cromo-molibdeno. Nel 1933 ai militari vennero consegnati dei ramponi da soli 360 grammi al paio, i “Superleggeri Grivel”, ma questo non bastò per vederli trionfare al duro Mezzalama, almeno fino al 1935. Dopo non ci fu più storia e gli Alpini dominarono la scena.

Leggeri e incompresi, gli innovativi ramponi rimasero ignorati dai più per diverso tempo. Diffidenti, gli alpinisti non guardarono subito con interesse a quei “fragili” attrezzi. Troppo sottili perché potessero dare l’impressione di essere stabili e sicuri sul ghiaccio. Solo i più forti si fecero allettare dall’idea di provare quella leggerezza così innovativa. Ecco allora che la guida di Courmayeur Arturo Ottoz si fece avanti e come lui anche Giusto Gervasutti, il Fortissimo, o Gabriele Boccalatte. Ma l’interesse per i ramponi Superleggeri crebbe solo con l’avvento dell’altissima quota. 

Compresa la fisiologia umana e saggiata la fatica dell’aria rarefatta, gli alpinisti guardarono alla leggerezza con nuovo interesse. Non era più solo un aiuto in salita, si trattava di rendere efficiente la progressione risparmiando quante più energie possibili. Gli anni Cinquanta lasciarono così spazio ai Superleggeri, che nel giro di poco divennero protagonisti sulle più alte montagne della Terra. Solo i francesi sull’Annapurna non li usarono, ma il tempo degli Ottomila era ancora acerbo quando Maurice Herzog e Louis Lachenal toccarono il punto più alto della decima montagna della Terra. Dopo li avrebbero impiegati tutti. 


Gli inglesi li usarono su Everest e Kangchenjunga ritenendoli strategici per la riuscita delle due salite, come dimostrato da un trafiletto su un vecchio notiziario CAI titolato “I fratelli Grivel dalla Regina Elisabetta”. 

Amato e Camillo Grivel erano gli unici due stranieri invitati all’evento organizzato dal British Alpine Club nell’autunno del 1955 per celebrare la vittoriosa spedizione capace di violare il terzo Ottomila. 


Un “particolare trattamento loro riservato per aver fornito alla spedizione britannica tutta l'attrezzatura di scalata e precisamente piccozze, chiodi e i rinomati ramponi Superleggeri a dodici punte da loro ideati ed ormai adottati dagli alpinisti di tutto il mondo. Anche il colonnello Hunt, capo della spedizione dell'Everest, era ricorso ai Grivel per la dotazione dei suoi scalatori. I due Grivel sono stati ricevuti anche dalla Regina Elisabetta che si è complimenta con loro per il valido contributo dato alla vittoria inglese”. 


Le due spedizioni inglesi utilizzarono ramponi a 10 punte, anziché a 12. Una decisione basata sull’allora concetto di “mezzo artificiale”. Quelle due punte frontali furono viste come un trucchetto con cui avvantaggiarsi nel rapporto con la montagna. Un’idea condivisa da molti puristi del tempo, come il savoiardo André Contamine.

Una questione che aprirebbe le porte a un largo dibattito riguardo l’evoluzione dei materiali alpinistici. Due punte frontali no, ma ramponi superleggeri si? La leggerezza non andrebbe considerata alla stregua di un aiuto artificioso? Forse troppo, anche per i puristi. Eppure, in qualche modo, questi nuovi mezzi permisero innovative realizzazioni in campo alpinistico. Esattamente come le punte frontali, comparse nel 1929, senza cui probabilmente non ci sarebbe stata la prima della nord dell’Eiger. Fatto sta che gli inglesi raggiunsero il tetto del mondo con 10 punte e meno di 500 grammi sotto ai piedi. 
Quelli a 12 punte li scelsero gli italiani di Ardito Desio sul K2, anche se la cosa non fu immediata. Nel 1953, durante un campo test organizzato al Plateau Rosa, gli alpinisti portarono ramponi di un’altra marca che nel giro di poco si rivelarono deludenti. 

La storia narra che fu il futuro primo salitore Achille Compagnoni ad affermare, nello sconforto generale, “A Courmayer esiste una realtà che produce ramponi!”. 

Gli occhi di tutti si illuminarono e così lo sguardo si pose sulla fucina Grivel, ai piedi del Monte Bianco. Meno di un anno dopo sarebbero partiti alla volta del difficile K2, indossando acciaio superleggero capace di mordere anche il ghiaccio sferzato dai temibili venti del Karakorum.

Immagini: Archivio Grivel 

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Leggi la storia de "L'ingegnere, il rampone e la bestia" di Marina Morpurgo

 

 Gian Luca Gasca, classe 1991, scrive e racconta di montagna collaborando con testate di settore e generaliste. Nel 2015 sposa la filosofia del “viaggio sostenibile” iniziando a girare per i monti a piedi o con i mezzi pubblici. Così si trova a percorrere interamente le Alpi da Trieste a Nizza. Un’esperienza che poi prosegue nel 2016 con gli Appennini e nel 2017, quando lascia l’Italia per andare da Torino al K2 via terra e con i mezzi pubblici.