Coprire i ghiacciai per salvarli? - Professor Marco Grasso

Pubblicato il 29/10/2021

L'estate del 2021 è stata la più calda mai registrata sia in Europa che negli Stati Uniti; Luglio 2021 si attesta come il mese più caldo mai registrato; i dieci anni più caldi si sono verificati dopo il 2005, mentre i sei più caldi dopo il 2015.

Il caldo torrido è uno di quei – scusate il banale gioco di parole – temi scottanti che sono davvero emblematici del cambiamento climatico, anzi quello che ne innesca gli innumerevoli effetti a cascata. Nella maggior parte dei luoghi fa già più caldo di quanto il nostro corpo possa sopportare. Gli esseri umani non dovrebbero vivere a temperature così alte: quando la nostra temperatura corporea interna raggiunge i 42°C, la morte può essere imminente. Come esseri umani, possiamo solo adattarci. Quando la temperatura dell'aria supera i 48°C, non c'è molto da fare, se non affidarsi all'aria condizionata e ad altre strategie di mitigazione.

Che soluzioni andrebbero adottate? Questo è ciò di cui abbiamo parlato e negoziato per decenni, e purtroppo si è rivelato molto rumore per nulla. Abbiamo tratto da una montagna un sassolino – gioco di parole, ovviamente – al punto che ci troviamo nella situazione di desiderare ardentemente che la temperatura diventi solo 2°C più calda rispetto al livello preindustriale.

Ci aggrappiamo a questa cifra speranzosi ma anche un po' amareggiati, e intanto il nuovo mantra è “attenti, il tempo è cambiato, meglio proteggersi”: cappello, crema solare, una bottiglia d'acqua sono ormai oggetti obbligatori per le passeggiate estive.

Giusto, meglio prevenire che curare; ma che ne dite di proteggere allo stesso modo anche il nostro pianeta? Gli animali, le piante, doni della Terra e la Terra stessa?

A essere onesti, se tutti coloro che sono preoccupati per lo stato del nostro pianeta dovessero aspettare decisioni politiche per garantire la sua sicurezza nel mezzo dell'attuale crisi climatica, forse il nostro bellissimo e unico nido sarebbe già in uno stato di miseria irreversibile. In un articolo precedente abbiamo parlato dello sforzo per preservare e rigenerare l'ecologia dei territori; c'è però un territorio particolarmente vulnerabile, quello dei ghiacciai. Come abbiamo già detto, il caldo sta riducendo i ghiacciai di montagna dalle Alpi, all'Himalaya, alle Ande. In poche parole, il ghiaccio sta soffrendo: si sta sciogliendo in tutto il mondo soprattutto ai poli della Terra, dove il clima sta cambiando e le temperature stanno aumentando a un ritmo estremamente elevato. Mentre negli anni '90 il nostro pianeta perdeva circa 800 miliardi di tonnellate di ghiaccio ogni anno, oggi, a causa dell'aumento della temperatura dell'aria, tale numero è salito a circa 1,2 trilioni di tonnellate: complessivamente, 28 trilioni di tonnellate di ghiaccio sono scomparse tra il 1994 e il 2017. Questa fusione di massa ha persino causato uno spostamento dell'asse di rotazione terrestre rispetto agli anni '90.


È quindi certamente interessante – e istruttivo – vedere cosa propongono e fanno scienziati, attivisti e artisti per proteggere e garantire la stabilità dei territori congelati. Un approccio sembra particolarmente attraente nella sua apparente ingenuità: è un tentativo quasi disperato di proteggere le cime dei ghiacciai montani attraverso una tecnica fantasiosa. Coprendoli con grandi coperte bianche in modo che i raggi del sole vengano riflessi piuttosto che assorbiti dal ghiaccio. È un po' come indossare una maglietta per evitare la sovraesposizione ai raggi UV in un’assolata giornata estiva. 

Soprannominati “geotessili”, questi teli sono solitamente costituiti da fibre di poliestere e polipropilene e sono fabbricati in rotoli lunghi 50 m e larghi 4-5 m; pesano circa 0,5 kg per m² e hanno uno spessore di 3-4 mm. I geotessili utilizzati per la protezione del ghiaccio hanno un elevato effetto albedo e riflettono più radiazioni a onde corte rispetto alle superfici di neve sciolta e ghiaccio. Così facendo, riducono significativamente l'energia complessiva disponibile per lo scioglimento dei ghiacciai.

Inoltre, le caratteristiche semipermeabili dei geotessili inibiscono la formazione di pozzanghere che riscalderebbero e intaccherebbero la neve attraverso le infiltrazioni d'acqua. A quanto pare, quindi, sembrano funzionare.

Nelle Alpi svizzere questa tecnica è in uso dal 2009: alcune stazioni sciistiche su ghiacciaio e aree di ghiacciaio ricercati dai turisti utilizzano i geotessili. Ad esempio, dalla città di Belvédère nelle Alpi della Svizzera meridionale, è possibile passeggiare attraverso il ghiacciaio del Rodano, uno dei più grandi d'Europa, attraverso un tunnel di 100 metri scavato nel 1870. I visitatori paganti - che pagano un tale capriccio un occhio della testa -possono camminare attraverso una grotta ghiacciata con una luce soffusa nei vari toni di blu prodotti dai raggi solari filtrati dal ghiaccio. Tra il 2011 e il 2016, il ghiacciaio del Rodano si è ritirato di circa 150 metri. Per rallentare lo scioglimento dei ghiacci, la famiglia che ha in gestione la grotta ha avuto l'idea di coprire la loro porzione di ghiacciaio con teli che riflettono la luce del sole.

Per molti versi, questa fatica di Sisifo di porre rimedio alla devastazione ambientale dei cambiamenti climatici in parte funziona: i geotessili sono in grado di salvare piccole porzioni di ghiacciai. Sfortunatamente, non possono essere impiegati su interi ghiacciai e su scala globale. Mentre questi tessuti potrebbero ridurre lo scioglimento glaciale del 59% a livello locale, la strategia è troppo costosa per proteggere gli oltre 1.165.000 chilometri quadrati di ghiacciai in tutto il mondo. In un recente studio, gli scienziati svizzeri concludono che "le misure per ridurre artificialmente lo scioglimento del ghiaccio allo scopo di salvare i ghiacciai a livello di catena montuosa sono chiaramente insostenibili".
Tutto sommato, l'uso di geotessili per proteggere il ghiaccio è solo per quelle porzioni di ghiacciai che hanno entrate invernali stabili che consentono di finanziare questa costosa tecnica durante i mesi estivi.

Il dibattito sollevato dall'uso dei geotessili, tuttavia, non riguarda la sua efficienza, né il suo costo nel suo insieme. Si tratta piuttosto di questioni climatiche ed ecologiche cruciali: la copertura dei ghiacciai agisce sugli effetti diretti dell'aumento della temperatura e della trasformazione dei territori. Gli impatti potenziali, come si può facilmente immaginare, sono immensi. In primo luogo, questa trasformazione implica costi di adattamento; in secondo luogo, cambia il modo in cui il territorio verrà utilizzato economicamente; terzo punto, modificando la regolarità ambientale, genera rischi particolarmente preoccupanti nei confronti di quelle risorse che sono quotidianamente indispensabili, come l'acqua.

Abbiamo sostenuto che i geotessili, come altri interventi manipolativi per modificare il sistema climatico o i suoi impatti, sono utili su scala locale se collegati ad attività redditizie in grado di sostenere il loro costo elevato. Ma il loro potenziamento comporterebbe impatti eccezionali sia sul paesaggio che sull'ambiente con inevitabili enigmi etici. Nonostante il richiamo della loro potenziale efficacia e una relativa fiducia un po' cieca nella scienza e nella tecnologia, le incertezze e i problemi delle tecniche manipolative su larga scala, insieme a una conoscenza fattuale ancora manifestamente insufficiente, hanno contribuito a generare una paura razionale circa il fatto che "hackerare il pianeta" potrebbe avere esiti e implicazioni indesiderabili e potenzialmente spaventosi.

E qui ci troviamo intrappolati in uno dei conflitti archetipici della politica climatica: come trovare un equilibrio tra l'effettiva utilità di questo tipo di tecniche e il grado in cui sono solo un altro tentativo umano di dominare il pianeta - un'altra tessera nel mosaico antropocentrico - e per respingere ulteriormente l'inevitabile riconoscimento della crisi ecologica globale in atto e delle conseguenti e costose misure da adottare. Non è un'impresa da poco, data la difficoltà complessiva e le implicazioni che questi approcci avrebbero sui sistemi socioeconomici nazionali, regionali e globali. C'è una bella fune tesa su cui muoversi, da un lato la speranza, dall'altro la disperazione… Il tentativo apparentemente ingenuo di coccolare i ghiacciai in teli come un prezioso neonato per assicurarsi la loro sopravvivenza è davvero un tema scottante.

 

 

Marco Grasso è professore di Geografia Economico-Politica presso l'Università Milano Bicocca. I suoi interessi di ricerca includono la politica ambientale internazionale e la governance dei cambiamenti climatici. Attualmente lavora a un progetto sul ruolo dell'industria dei combustibili fossili nel cambiamento climatico e sulla decarbonizzazione dei sistemi energetici.