Le stazioni sciistiche abbandonate nelle Alpi italiane: il cambiamento climatico si insinua inesorabilmente in alta quota - Professor Marco Grasso

Pubblicato il 16/04/2021

Non esiste business come quello legato alla neve, ma, grazie al cambiamento climatico, la favola di piste bianche immacolate incorniciate da foreste alpine incontaminate sta oggi pattinando su un ghiaccio molto sottile, letteralmente e figurativamente. Era il 1761 quando il grande pensatore illuminista svizzero Jean Jacques Rousseau descrisse come gli inglesi, affascinati dalla sana e salutare catena montuosa europea e dalle virtù delle persone che vi abitavano, fossero i pionieri dello sci alpino moderno come sport ricreativo. Fu così decretata la trasformazione delle Alpi in un parco giochi tematico di montagna, con la nascita dei primi moderni resort che sorsero agli albori del XX secolo. 
Sono 1136 le stazioni sciistiche che ora punteggiano il parco giochi di montagna costituito oggi dalle Alpi, 197 di loro si trovano sul territorio italiano. La catena montuosa alpina europea, che si estende per 1200 km e ospita otto nazioni, comprende solo il 20% delle stazioni sciistiche mondiali, ma attrae l'80% dei visitatori complessivi; si tratta di 150 milioni di turisti all'anno che percorrono le piste alpine, una cifra che è rimasta relativamente stabile negli ultimi vent'anni: di questi, circa un quinto - tra i 25 e i 30 milioni di appassionati di sport invernali - decide che il Bel Paese offre il miglior mix di cibo, ospitalità e, ovviamente, scintillante oro bianco. Sette di queste località alpine italiane vedono oltre un milione di turisti sgomitare ogni anno ai tornelli degli impianti di risalita.
Ma in cosa si traducono questi numeri in termini economici? Le vacanze invernali sulle piste delle Alpi aggiungono complessivamente 33 miliardi di dollari (quasi 28 miliardi di euro) annui alle casse delle nazioni alpine, mentre la stagione sciistica 2018-2019 ha visto le località italiane incassare 10,4 miliardi di euro, cifra che include gli skipass, alberghi e servizi complementari - in calo dell'11% rispetto agli incassi dell'anno precedente.

Uno studio recente ha rilevato che negli anni '90 il nostro pianeta ha perso circa 800 miliardi di tonnellate di ghiaccio ogni anno; da allora tale cifra è salita a circa 1.2 trilioni di tonnellate, per un totale di 28 trilioni di tonnellate di ghiaccio sciolto tra il 1994 e il 2017. Le temperature globali più elevate stanno avendo l'inevitabile effetto di ridurre drasticamente i ghiacciai dalle Alpi, all'Himalaya, alle Ande. E il risultato di tutto questo è che la neve sta scomparendo, anche a quote più elevate, dove una volta scendeva in abbondanza. Perché il cambiamento climatico colpisce le regioni montuose ancora più spietatamente delle zone pianeggianti: le temperature medie delle Alpi sono aumentate di 2° C nel XX secolo, rispetto a una media di circa 1° C per l'emisfero settentrionale (e questa media non si sta ridimensionando; al contrario, sta impennando con un ripido movimento verticale del proiettile, ma senza che la forza di gravità alla fine lo aiuti a trascinarlo di nuovo verso il basso). Lo si vede, con effetto sorprendente, nelle stazioni di sci alpino situate tra 1500 e 2000 m sul livello del mare. Le previsioni per quest’area prevedono che il riscaldamento peggiorerà, portando a una riduzione delle nevicate e al numero di giorni in cui la temperatura rimarrà al di sotto dello 0° C vitale. E quel che segue è un meccanismo di evidente causa-effetto: secondo uno studio, nelle regioni alpine dove il manto nevoso affidabile (almeno 30 cm per 100 giorni / anno) è attualmente a 1500 m, un aumento di 1° C porterebbe a un innalzamento di questa quota a 1650 m, mentre un aumento di 2° C addirittura a 1800 m. Delle 666 stazioni sciistiche alpine di dimensioni medio-grandi attualmente attive, il 90% ha normalmente neve sufficiente per coprire la stagione sciistica per 100 giorni all'anno. Un aumento futuro di 1° C potrebbe comportare un abbassamento di questa cifra a 500, un aumento di 2° C a 400, ecc. Avete capito bene.
Ma la mancanza di neve in alta quota ha conseguenze ben più gravi di qualche turista d'élite che perde le sue occasioni di après-ski: le superfici rimaste scoperte dalla neve fanno sì che la terra assorba più calore invece di rifletterlo, esacerbando la temperatura in montagna, qualcosa definito in termini ambientali come “positive feedback”. 
Ma esaminiamo lo scenario italiano: delle 290 stazioni sciistiche del Paese, 197 sono attive nelle Alpi italiane. Ma questo dato vede un calo di già 200 unità rispetto al periodo di boom delle vacanze invernali degli anni '60 e '70 e dell'abbondanza di neve. Proprio così, ci sono tante stazioni deserte quante sono quelle funzionanti.

Guidando attraverso le Alpi, il primo segno che ti stai avvicinando a una stazione sciistica è dato dalle piste sinuose che serpeggiano lungo il fianco della montagna, spogliato dagli alberi. 
Ma questa che può essere un'impressione superficiale è l'unico segnale evidente che lì sorgeva una stazione sciistica un tempo vivace. Se ti addentri, ti accorgi di come la fauna circostante stia rivendicando il suo territorio, piante rampicanti che fanno a gara per accelerare lo sgretolarsi delle pareti delle stazioni; avventurandoti in questi inquietanti luoghi del passato, noterai le porte da tempo divelte dai cardini, i graffiti sui muri a testimonianza delle feste improvvisate tenute dai giovani delle valli vicine, i sacchi a pelo e le siringhe abbandonati che sono la prova che questi luoghi vengono utilizzati dai più sfortunati come rifugio temporaneo. Quando - se! - la neve cade, le calde tonalità brunite dei cavi d'acciaio arrugginiti creano un netto contrasto con il bianco puro dei dintorni, di una località un tempo vivace ora ridotta a una città fantasma.
Un rapporto di Legambiente Neve Diversa ha suddiviso le località abbandonate in tre categorie: quelle completamente abbandonate, quelle temporaneamente chiuse nella speranza di tempi più prosperi, e quelle mantenute in vita grazie al versamento di ingenti somme di finanziamenti pubblici volti a salvare i posti di lavoro, una specie di iniezione vitale temporanea prima dell'inevitabile. Il rapporto evidenzia come, ad esempio, il 60% dei finanziamenti per l'innevamento artificiale sia uscito dalle tasche dei contribuenti della regione Piemonte, per citare un esempio, per la stagione 2019. A che costo? Ebbene, secondo il WWF, ogni ettaro di pista che necessita di innevamento artificiale consuma circa 95 milioni di metri cubi di acqua e 600 gigawattora di energia all'anno, al costo di 136.000 euro. E questo senza nemmeno prendere in considerazione l'impatto di questi mezzi artificiali sull'ecologia delle località, con l'erosione del suolo e l'inquinamento delle risorse idriche locali che sono solo i primi fattori che vengono in mente. Il Club Alpino Italiano, l'associazione impegnata in prima linea nella salvaguardia dell'ambiente alpino italiano, è il primo a proclamare che, per adattarsi ai cambiamenti climatici e salvaguardare il sistema ecologico ed economico locale, bisogna esplorare la diversificazione, il sistema non può essere incentrato sulla monocultura della sola stazione sciistica.


In una nota diversa, una curiosità nasce dalla neve che retrocede nelle Alpi: vengono svelati alcuni souvenir piuttosto inaspettati. Slitte, sci, occhiali, trincee, effetti personali, cannoni e altre rilevanti artiglierie abbandonate durante la cosiddetta "Guerra Bianca", il fronte di battaglia italo-austriaco durante la prima guerra mondiale. In una mostra patrocinata dal National Geographic, le suggestive e struggenti immagini del fotografo Stefano Torrione raccontano con poche parole la Grande Guerra sul Massiccio dell'Adamello, combattuta a oltre 3.000 metri sul livello del mare.
La “Montagna Incantata” di Thomas Mann, considerata uno dei grandi della letteratura tedesca dell'inizio del XX secolo, ha fra i temi principali la distruzione provocata da grandi masse di umanità civilizzata. Il protagonista Hans Castorp fa visita al cugino malato in cerca di cura in un sanatorio di Davos, nelle Alpi svizzere, appena oltre il confine italiano. Sì, esattamente lo stesso scenario alpino in cui i grandi e i buoni si riuniscono ogni anno al World Economic Forum per capire come fronteggiare la distruzione del nostro pianeta inferta dall'umanità civilizzata.


 
Marco Grasso è professore di Geografia Economico-Politica presso l'Università Milano Bicocca. I suoi interessi di ricerca includono la politica ambientale internazionale e la governance dei cambiamenti climatici. Attualmente lavora a un progetto sul ruolo dell'industria dei combustibili fossili nel cambiamento climatico e sulla decarbonizzazione dei sistemi energetici.