Articolo: Parte 1 - L’uomo: dalla città alla montagna
Parte 1 - L’uomo: dalla città alla montagna
Pubblicato il 12/08/2022
Antonio, conosciuto da tutti come Toni, Gobbi nasce il 18 giugno 1914 a Pavia, nel cuore della Pianura Padana.
Esattamente dieci giorni dopo, il 28 giugno, a Sarajevo (circa 1000 Km da Pavia), lo studente nazionalista serbo Gavrilo Princip uccide a colpi di pistola l’arciduca ed erede al trono di Austria-Ungheria Francesco Ferdinando, scatenando di fatto la Prima guerra mondiale: il mondo non sarà mai più lo stesso.
Antonio nasce in una famiglia dell’alta borghesia ed è il primogenito di Gioachino Gobbi, professione avvocato, e Pierina Oliva, casalinga, entrambi emiliani. Il mestiere della legge è nella tradizione di famiglia. La coppia avrà altri tre figli: Rita (1916-2011), Giuseppe (1920-2005) e Marilena (nata molti anni dopo, nel 1931).
Proprio con la sorella Marilena, oggi 91enne, Antonio sviluppa un legame molto forte che durerà tutta la vita. “Uno dei miei primi ricordi d’infanzia è sulle spalle forti del mio fratellone” ricorda Marilena “Era un ferragosto di tanti anni fa. Rivedo ancora la partenza alle 3 del mattino, con la famiglia al completo. Io ero piccola, Toni avrà avuto 18 anni. Avevo le sue mani forti attorno alle mie caviglie e mi sentivo fiera e sicura”.
La gita di cui racconta la sorella era semplice, un rituale per molti vicentini nel giorno dell’Assunzione: si saliva tutti insieme sulla cima del monte Summano, dominata ancora oggi da una grande croce in calcestruzzo. “Ricordo il suo passo cadenzato, sempre uguale,” dice Marilena. “Ricordo il modo in cui si sistemava lo zaino sulla schiena e poi le raccomandazioni: stai dritta, non mettere le mani sulla mia testa, ti tengo io. Toni era quello che mi capiva, e mi trattava sempre come una figlia. Ne sento la mancanza, ancora oggi che sono ormai vecchia e sono passati tanti, tanti anni.”
Quando Antonio ha 8 anni, la famiglia si trasferisce a Vicenza. È un ragazzino tutto nervi e anche un ottimo studente, insomma è dotato tra i banchi e fuori. Un amico si ricorda di lui che gioca da solo, nel cortile interno del suo palazzo, sfidando amici immaginari e dribblando avversari d’aria fino a incontrare lo specchio della porta. Con i capelli scompigliati sprizza energia e sicurezza nella sua solitudine perché, come avrebbe spiegato da adulto: “Un uomo che si rispetti deve imparare presto a stare solo. Forse bisogna incominciare da ragazzi, se non vogliamo finire nell'anonimato; e poi guardare dentro le pieghe della nostra miseria. Perché nei momenti gravi, quando la vita dipende dalla forza e dalla serenità della nostra solitudine, solo allora la puoi valutare”.
È proprio in quegli anni dell’adolescenza che Antonio comincia a essere chiamato Toni, come spesso succede in Veneto. E Toni resta per tutta la vita. “Anche il Gran Santo di Padova, se nato ai giorni nostri, si farebbe chiamare Toni!” dirà agli amici.
Nel 1934 mio nonno prende la maturità classica al liceo Tito Livio di Padova e, seguendo le orme paterne, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza. Proprio negli anni ’30 Toni inizia a scoprire la montagna, che al di là di qualche passeggiata e di alcune villeggiature estive, non è nella tradizione della famiglia Gobbi. La Vicenza di quegli anni è una fucina di alpinisti, e Toni inizia a frequentare il gruppo della Giovane Montagna, un’associazione di stampo cattolico, scoprendo così l’arrampicata, lo sci e anche la corsa in montagna.
La partenza da casa avviene spesso in bicicletta, perché quelli sono, nelle parole del suo amico scrittore e alpinista Gianni Pieropan “gli anni del ciclo-sci-alpinismo”. Al tempo è in realtà una scelta quasi obbligata, perché pochi possiedono un’automobile e senza questa comodità già solo l’avvicinamento alle montagne è una vera e propria avventura.
“Papà si preoccupava sempre quando partiva per la montagna. La mamma lo lasciava andare e non diceva nulla, ma dentro di sé conservava una tempesta di immagini capaci di quietarsi solo al suo ritorno,” ricorda Marilena. “In fondo, come puoi vietare a un innamorato di inseguire la sua passione? Sarebbe come rinchiuderlo in gabbia”. La famiglia Gobbi capisce presto che questa non sarebbe la giusta strada.
Toni sa dell’inquietudine e del timore in cui lascia la famiglia quando va su per le vette. “Salto giù dal letto e apro la finestra,” scrive in un racconto risalente al giugno del 1932. “All’orizzonte noto un’impercettibile striscia di chiarore mattutino. Esco, inforco la bici e lancio un ultimo sguardo alla casa. Nell’andare verso il cancello sento aprire una finestra, è la mamma che si è alzata per vedermi partire cercando di non farsi vedere. Non vuole che io comprenda la sua preoccupazione. Ora, nel buio, traccerà un segno della croce per benedirmi e pregare il signore che nulla di grave mi accada. Vorrei tornare su, gettarmi tra le sue braccia e baciarla. Dirle tutto il bene che le voglio e chiederle scusa se la faccio stare in ansia. Mi fermerei, se me lo chiedesse con la sua cara voce. Do ancora uno sguardo alle montagne sempre più chiare e distinte, attratto dal loro fascino irresistibile pedalo a rotta di collo verso la felicità”.
Alla fine degli anni ’30, dopo anni di attività insieme agli amici vicentini, l’approccio di Toni all’alpinismo evolve in una dimensione più individualistica, con l’obiettivo di elevare il suo livello tecnico e magari anche di arrivare a farne una professione.
È il ventesimo secolo con la sua storia intensa a mettersi in mezzo ai suoi progetti.
Terminati con la laurea i rinvii concessi per motivi di studio, Toni viene chiamato alle armi e il 31 agosto 1939 entra nella Scuola Allievi Ufficiali di Bassano del Grappa, arma di fanteria, specialità alpini. Il giorno successivo, il 1° settembre, la Germania invade la Polonia scatenando la Seconda guerra mondiale.
Il 18 aprile del 1940 mio nonno viene assegnato alla Scuola Militare di Alpinismo di Aosta, con il grado di sottotenente, come istruttore di alpinismo. Il 10 giugno 1940 Benito Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia. Il giorno successivo Toni viene mobilitato presso il Battaglione “Monte Bianco” con l’obiettivo di difendere i confini. Il 31 agosto la mobilitazione cessa, e lui torna alla Scuola. In quegli anni l’attività di Toni si divide tra la professione militare (sarà promosso tenente nel 1942), l'alpinismo (molto intenso nel 1942 e 1943) e la ricerca di un modo per dare un seguito agli studi universitari (nel novembre 1940 inizia la pratica notarile presso lo studio del notaio Ollietti di Aosta).
Le grandi cime delle Alpi occidentali affascinano Toni, ma è una bella ragazza bionda a conquistarlo.
Romilda Bertholier, di sette anni più giovane di lui, è una maestra elementare, iscritta all’Università di Torino, facoltà di Lettere. La montagna è nella tradizione della famiglia: Romilda è figlia di una guida alpina (Prospero Bertholier, 1887-1976) e sorella di Elvira che è sposata con la guida di Courmayeur François Thomasset. Inoltre, Prospero e la moglie gestiscono il rifugio Pavillon, negli anni ’20 e ’30 importante punto di passaggio per gli alpinisti diretti al Monte Bianco. La funivia del Monte Bianco (oggi Skyway Monte Bianco), di cui il Pavillon è la fermata intermedia, sarà inaugurata solo nel 1947.
L'8 settembre 1943 ancora una volta è il destino a mettersi di mezzo, con l’annuncio via radio del maresciallo Pietro Badoglio. “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”.
Con l’armistizio quasi tutti cercano un modo per tornare alla loro vita precedente, ma non Toni. Lui sceglie di rimanere ai piedi del Monte Bianco e di sposare Romilda il 18 ottobre 1943.
Vivranno una storia d'amore dolce e intensa per tutta la vita, come testimoniano moltissime lettere. L'unione è cementata dalla montagna, grande passione di entrambi. Dalla loro unione nascono due figli: Gioachino nel 1945 e Maria Barbara nel 1949.
Sono anni difficili, ma Toni ha tutto quel che gli serve per stare bene: montagna, amore e comprensione. Inizia a pensare che Courmayeur potrebbe diventare la sua casa definitiva. Il paese è pieno di sfollati e il lavoro va inventato. Toni e Romilda provano a “rinascere” come insegnanti di un liceo casalingo. Lui insegna latino, greco e italiano; lei francese e filosofia.
Nel novembre del 1943 mio nonno Toni si iscrive nuovamente all’Università di Padova, facoltà di Lettere, puntando a una seconda laurea che non arriverà a conseguire ma che testimonia una passione. La sorella Marilena si ricorda ancora il “De Bello Gallico” di Giulio Cesare, che Toni le aveva fatto imparare a memoria! Toni amerà scrivere per tutta la vita, e nel 1950 vincerà addirittura un premio Saint Vincent per il giornalismo.
Mio nonno è di fatto un sofisticato uomo di città che sposa la causa della montagna e rappresenta il punto di contatto tra questi due mondi, posizione inusuale per l’epoca. “Era un uomo di grande forza fisica e psicologica, di peso, di cultura. Aveva un viso statuario, una mascella pronunciata e lineamenti netti, ma ricordo il sorriso meraviglioso che esplodeva in questo viso tagliato nella pietra. Si sentiva la sua estrazione cittadina: quando metteva una giacca, la giacca gli andava bene! E aveva un eloquio importante, qualificato”: così rivive nelle parole di Giacomo Bozzi, figlio di Irene Bozzi, che di Toni è stata una delle principali clienti nonché amica.
Ricorda un altro amico: “Pur con gli spigoli duri di un carattere forte e orgoglioso, gli era consentito di esercitare una indiscussa superiorità sul piano tecnico e umano; era pressoché impossibile sfuggire al fascino e all'influenza che emanava dalla sua persona e non restarne parzialmente soggiogati. Si poteva magari non condividere alcune opinioni intransigenti, ma non ignorare la sua inimitabile coerenza e la serietà che manifestava nelle linee di principio.”
Spesso sapeva esercitare la sua influenza anche solo con lo sguardo. Aveva gli occhi di un colore grigio-chiaro che potevano diventare freddi come il ghiaccio e gelare l’interlocutore: “Incuteva paura ma anche protezione. Dovevi fare quello che diceva lui, ma sapevi che si sarebbe preso cura di te,” ricorda sua figlia. Questo lato umano rivive anche nelle parole della sorella Marilena: “La gentilezza che aveva con me ... i suoi occhi quando mi guardavano con dolcezza, mi accarezzavano”.
Nel momento della festa, poi, sapeva lasciarsi andare e amava cantare, soprattutto i canti di montagna durante le feste delle guide alpine. In macchina, poi, si lasciava andare fin troppo, ed è lì che dava le maggiori preoccupazioni alla famiglia. Aveva imparato a guidare tardi e aveva una guida spesso eccessivamente veloce, nervosa e a strappi!
Tornando al suo rapporto con il mondo della montagna, la sua strada è segnata ancor prima che la guerra finisca. Toni diventa portatore nel 1943 e guida alpina nel 1946. Nel 1948 ottiene la qualifica di maestro di sci e di istruttore delle guide.
Entrare nella Società delle Guide Alpine di Courmayeur, che è stata fondata nel 1850 ed è la prima in Italia e la seconda al mondo (dopo quella di Chamonix), è più difficile del previsto perché il regolamento impone di essere nativi di Courmayeur oppure di possedere in paese delle proprietà immobiliari. Il problema viene risolto con l’aiuto del suocero Prospero che gli donerà un terreno.
Il cittadino si integra così bene che nel 1950 la Società, per i festeggiamenti dei suoi 100 anni, chiede proprio a Toni di pronunciare il discorso di ringraziamento ai colleghi.
Questo risultato non è affatto scontato, perché negli anni ’40 Courmayeur è ancora un piccolo paese di montagna in fondo a una valle chiusa (il traforo del Monte Bianco aprirà solamente nel 1965). In un contesto tradizionalmente ostile ai “forestieri”, Toni riesce a farsi accettare e apprezzare grazie a un approccio rispettoso e delicato. Scriverà in seguito in una lettera a un amico: “Rammentati sempre che in un paese di montagna nel quale intendi stabilirti devi sempre, assolutamente, considerarti come un ospite; e perciò comportarti come un ospite in casa altrui. Saranno i padroni di casa, a un certo momento, a considerarti uno di loro, se avrai dimostrato che veramente vali, che hai il giusto rispetto per le tradizioni e la giusta passione per la montagna. È inoltre inutile … raccontare e magnificare quello che hai già fatto; loro giudicano giustamente quello che fai, che hai fatto, che farai; e tutto ciò deve essere fatto con la testa ancor prima che con la tecnica, con la dovuta prudenza ancor prima che con esasperato coraggio, con la dovuta sicurezza ancor prima che con il comprensibile rischio”.
Ricorda Ruggero Pellin, guida alpina e già Presidente della Società delle Guide di Courmayeur: “Veniva da un ambiente cittadino e non contadino. Si è presentato a Courmayeur in un momento in cui, durante e dopo la guerra, avevano tutti le orecchie basse. Ha avuto l’intelligenza di non forzare con la sua presenza il nostro mondo, ma allo stesso tempo ha portato una ventata di novità, con educazione. Ha saputo stare nel nostro ambiente facendosi rispettare. Aveva capito che Courmayeur poteva offrire opportunità uniche, e ha saputo coglierle, sia nell’alpinismo, sia nel commercio.”
Nel 1948 infatti apre la “Bottega dell’Alpinista e dello Sciatore”, con annessa la “Libreria delle Alpi” (probabilmente la prima libreria dedicata alla letteratura di montagna). Il negozio Gobbi diventerà un’istituzione in tutte le Alpi e un punto di riferimento naturale per tutti gli alpinisti di passaggio a Courmayeur, sia per la varietà e selezione dei prodotti, sia, soprattutto, per la presenza di Toni stesso e per la possibilità di discutere con lui ed avere consigli.
Foto: archivio Grivel.
Oliviero Gobbi. Dopo una laurea in fisica ed un master in management, ha lavorato alcuni anni come consulente strategico in grandi multinazionali per poi entrare in Grivel, azienda di famiglia, di cui è oggi titolare e AD. Ama tutte le discipline della montagna, dall’alpinismo al ghiaccio, dalla roccia allo sci alpinismo, che pratica come e quando può. Il suo prodotto Grivel preferito è quello ancora da inventare.
Hanno contribuito alla stesura dell’articolo: Gianluca Gasca, Marina Morpurgo, Margherita Calabi.
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